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La sapienza del cuore dell’Africa by mick78

Una decina di giorni fa, sfogliando la rivista Wired (che pubblica i suoi contenuti pure sul web) sottratta a Manu, ho letto di una interessante (e ciclopica) impresa che sta avendo luogo nella città di Timbuctu, e questo ha stimolato la mia curiosità.

Avendo studiato nel campo dei beni culturali, ed essendo appassionata di tutto ciò che è trasmissione del sapere, già il nome Timbuctu, mitica città nel cuore dell’Africa, mi affascinava, ma avendo una formazione prettamente italiana non sapevo nulla dei tesori che questa città ancora conserva e del lavoro che l’Istituto di Alti Studi Ahmed Baba sta svolgendo.
Quindi ho riflettuto sul fatto che la maggior parte di noi europei quando pensa alla cultura africana pensa che, oltrepassato il deserto del Sahara, essa sia caratterizzata dall’animismo, le danze, i tam-tam, la trasmissione orale del sapere e, al più, dalle bellissime maschere rituali. E invece questa è una visione molto parziale e riduttiva della realtà. Nel mio piccolo, per ampliare il mio orizzonte e quello dei frequentatori del blog, nel caso volessero, ho fatto una piccola ricerchina.

Intanto, l’Istituto.
Fondato nel 1970 dallo Stato, è intitolato ad
Ahmad Baba al-Massufi al-Tinbukti, studioso, scrittore, viaggiatore e provocatore politico vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Questo signore ha scritto ben 40 libri. L’Istituto possiede approssimativamente 700mila volumi, tra cui circa 20mila alcuni dei quali risalenti al XII secolo, quindi alla fase pre-islamica. Molti manoscritti provengono dalla Spagna islamizzata e giunsero qui ai tempi della reconquista. Si tratta di Corani e trattati di medicina, religione, diritto, farmacia, botanica, astronomia, poesia e filosofia; per la maggior parte sono scritti in lingua araba, ma numerosi sono i testi nelle varie lingue dell’Africa occidentale. Una parte di questi è riccamente miniata, anche con foglia d’oro. Poi, si conservano numerosi documenti di carattere più ‘quotidiano’, ma nel contempo altrettanto importanti: transazioni, contratti, pareri di avvocati. Essi sono utilissimi per darci informazioni sulla società e la cultura africane nel corso dei secoli, aspetti soffocati e negati dal colonialismo europeo.
La convinzione cultura esclusivamente orale ormai è sfumata, vero?

La città. Timbuctu, Timbuktu, Tumbuctu, Tombouctou sono solo alcuni dei modi in cui si può scrivere. Si trova pochi chilometri a Nord del letto del fiume Niger, e attualmente è la capitale della regione omonima, nello Stato del Mali. Fin dalla sua nascita si distingue; infatti l’originario villaggio venne fondato intorno all’anno 1000 ai margini di un accampamento da una donna tuareg che si chiamava Buctù. Timbuktu significa infatti ‘pozzo di Buctù’. In breve tempo da piccolo villaggio Timbuctu divenne il più grande caravanserraglio del continente africano che collegava le tratte provenienti dalla costa atlantica con il tragitto che partiva dalla costa mediterranea, punto di scambio di merci, genti e saperi, luogo di sosta e ristoro per chi, uomini e animali, passava la propria vita in movimento.
Nel Cinquecento Giovanni Leone Africano ( 1485-1554), arabo spagnolo che riferiva del suo viaggio in Africa al suo mecenate papa Leone X, poteva affermare che “i libri si vendono così bene che questi fruttano più delle altre mercanzie…” riferendosi proprio a questa città, che nel Medioevo fu sede di una importantissima università.

Le case sono in pietra calcarea e in argilla ocra ed hanno grandi terrazze, muri spessi, cortili interni  e finestre piccole. Ci sono tre moschee, di cui la più antica, Djingareiber, fu costruita nel 1325. La decadenza di Timbuctu iniziò nel 1591 con l’invasione delle truppe marocchine, armate con armi da fuoco. Resta tutt’ora una città affascinante e bellissima, non una metropoli, ma una sorta di città incantata.

Il progetto.
L’Istituto Ahmed Baba raccoglie manoscritti provenienti da biblioteche private e famiglie della città e della regione; molti di essi, per essere salvaguardati da invasori e predoni, furono seppelliti nella sabbia. Queste condizioni, che in alcuni casi ci hanno preservato testimonianze antiche dal passato (si pensi alle mummie o ai ritratti di El-Fayyum), non sono adatte alla conservazione dei documenti scritti. Quindi i materiali ritrovati erano pesantemente provati dal disseccamento, dall’escursione termica e dall’attrito dei granelli sulla pergamena (meno spesso carta). In pratica l’inchiostro sbiadiva e le carte si sbriciolavano. L’Istituto ha quindi intrapreso, con il patrocinio di alcuni enti sovranazionali tra cui l’UNESCO, la costruzione di una nuova sede e il restauro dei numerosissimi manoscritti. Il laboratorio di restauro è interno alla sede e ogni anno alcuni studenti del Mali vengono mandati a studiare tecniche di restauro all’estero, mentre una partnership con la regione francese del Rodano-Alpi sta permettendo la digitalizzazione dei documenti.

In conclusione, vorrei fare una personale riflessione: la civiltà non è solo quella ‘occidentale’ e la cultura umana ha sempre goduto degli scambi fra popoli. Ricordiamocene, perché l’altro non ci deve far paura, ma deve stimolarci alla conoscenza.


3 commenti so far
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è molto interessante, non sapevo niente Timbuctù. Il guaio delle civiltè non occidentali è che hanno conosciuto la colonizzazione. Siamo andati lì e con arroganza gli abbiamo imposto il nostro mondo, appropriandoci delle loro ricchezze mentre li trattavamo da esseri inferiori. Il relatismo culturale è stato per secoli estraneo alla nostra mentalità(e certuni vorrebbero che lo restasse).

Commento di Elisa

Direi che il relativismo culturale è tutt’ora negato, a volte anche inconsciamente, dalla stragrande maggioranza degli Europei…

Commento di mick78

Il relativismo culturale è anche condannato da qualcuno…

Commento di Elisa




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